Giovan Battista Sammartini
Le origini italiane dello Stile Classico





Saggi dedicati
al più importante compositore milanese




INDICE

PREFAZIONE

“G.B.Sammartini 1701 - 1775
Le ragioni della grandezza ed i motivi di un silenzio”

di Luca Arnaldo Maria Colombo


CENNI STILISTICI

“Cenni sullo Stile”
“L’Impressionismo Ritmico,un riferimento stilistico incompreso”
“Cenni sulla musica da camera di Sammartini come musica notturna”

di Luca Arnaldo Maria Colombo


CENNI STORICI

“Una breve cronologia per G.B.Sammartini”
“Una breve cronologia del 1700 europeo”
“Cronologia Europea e suoi Riflessi su Milano”

di Carlo Aliprandi


INTERVENTI OSPITI

“L’addolorata Divina Madre e Desolatissima nella Soledad”
Cantata sacra a tre di Giovanni Battista Sammartini (Milano, 1759)

di Marina Vaccarini Gallarani

“G.B.Sammartini, nonno della sinfonia”

di Osamu Sakazaki






G.B.Sammartini 1701 - 1775
Le ragioni della grandezza ed i motivi di un silenzio

di Luca Arnaldo Maria Colombo


Inaugurando una manifestazione dedicata a Giovanni Battista Sammartini é necessario presentare sinteticamente i motivi di interesse di questo grande ma dimenticato compositore. Infatti nessuna informazione che lo riguardi é stata assorbita nella cosiddetta “cultura di base”; per questo Sammartini, nel trecentesimo anniversario della sua nascita é un compositore del tutto da scoprire.

Normalmente il punto di partenza per conoscere un grande compositore del passato é la biografia, cui segue un’analisi dell’opera e dello stile. Questo tipo di approccio non dà però buoni frutti con Sammartini; innanzitutto vi é una effettiva difficoltà a ricostruire la sua personalità, in quanto non esistono lettere o scritti di Sammartini, così come non si trovano testimonianze lasciate da suoi contemporanei che permettano di ricostruire il suo carattere. In secondo luogo bisogna osservare che la ricostruzione della sua vita ottenibile dai pochi documenti esistenti é del tutto “normale”; non esistono cioè avvenimenti tali da potervi vedere riflessi caratteri significativi della sua vita. Dunque Sammartini rimane inaccessibile sul fronte biografico.

L’unico modo che esiste per conoscere Giovanni Battista Sammartini a trecento anni dalla sua nascita é allora quello di conoscere la sua opera e soprattutto il suo stile; a consolazione di ciò, possiamo però dire che questo approccio permette sicuramente di arrivare al cuore del suo carattere, senza venire distratti dagli eventi biografici.

Dunque, lo stile: ma anche in questo campo bisogna stare molto attenti. Infatti quando ci si avventura in quegli anni che vanno dal 1700 fino al 1760 circa, si incontrano numerose definizioni stilistiche che sono state introdotte giustamente dagli storici per rendere conto di tutte le diverse tendenze sviluppatesi in questo periodo; il risultato é però che, fra “tardo barocco”, “primo” e “secondo stile galante”, “preclassicimo” etc, diventa difficile orientarsi e tali parole diventano purtroppo vuote.

Tale ambiguità nasce dal fatto che, al tramonto del barocco, che possiamo raffigurarci con i volti di J.S.Bach, G.F.Haendel e D.Scarlatti, iniziano alcuni decenni estremamente creativi, in cui ogni compositore, più che aderire ad un modello stilistico esistente, ha cercato di costruire il proprio, senza però riuscire a imporlo formando una “scuola”; per questo soprattutto in Italia vi furono numerosi compositori che ottennero successi significativi presso i contemporanei, la cui musica fu però spazzata via dal successivo affermarsi dello stile classico rappresentato mirabilmente da Mozart e Beethoven.

Frutto dell’opera di questo creativo disordine che caratterizzò la prima metà del ‘700 italiano fu la rivoluzione stilistica da barocco a classicismo; lo storico F.Torrefranca osservò che, se i frutti di questa rivoluzione non fu l’Italia a raccoglierli, ma la Germania, il motivo non fu certo per la mancanza di capacità estetiche, ma probabilmente per un difetto di energia morale e spirituale dedicata dagli italiani alla musica strumentale.

In questo contesto Sammartini trova la giusta collocazione ed emerge tutta la sua importanza, in quanto, nato all’inizio del secolo, fu il capostipite di quella schiera di artisti e iniziò in modo mirabile quella rivoluzione. Cercando di riassumere in una locuzione la sua personalità infatti, si potrebbe dire che Sammartini fu un “rivoluzionario discreto”.

A parte l’aspetto tecnico delle innovazioni musicali adottate da Sammartini, cui é dedicata una sezione a parte del presente opucolo, il compositore milanese rimase infatti un artista discreto; fece la carriera normale del maestro di cappella nelle chiese milanesi; non cercò fortuna all’estero come fecero invece innumerevoli compositori italiani; non insistette a cercare il successo in quella che era l’arena dei più ambiziosi compositori del ‘700, l’opera, ma dedicò il suo ingegno al più defilato campo della musica strumentale; non aderì a nessun “manifesto” programmatico innovativo, come magari fece il compositore rivoluzionario per eccellenza dell’epoca, ovvero C.W.Gluck (che non a caso fu suo allievo per 4 anni), ma lavorò pazientemente all’evoluzione della pratica compositiva riuscendo, fra i pochi della sua epoca, a realizzare uno stile che, lontano tanto dal barocco quanto dal classicismo, raggiunse una maturità ed una consapevolezza assolute; questa maturità é la caratteristica che, nel primo settecento italiano, Sammartini fu fra i pochi a consolidare, e, fra questi pochi, sicuramente il primo e probabilmente il più importante.

Ma allora per quale motivo il nome di Sammartini é dimenticato e la sua musica giace tuttora nel silenzio? I motivi di questo silenzio si possono suddividere in due categorie, quelli pratici e quelli “psicologici”.

Innanzitto il problema di Sammartini é quello di tanti altri compositori suoi contemporanei, ovvero la difficoltà di reperire le fonti delle sue musiche; a causa della frammentazione politica dell’Italia del 1700 i manoscritti sammartiniani si distribuirono in maniera estremamente irregolare sul territorio europeo (si pensi che su 71 sinfonie composte da Sammartini, una sola é conservata in copia manoscritta a Milano). Il risultato é che chiunque volesse oggi eseguire una sua sinfonia dovrebbe limitarsi alle prime 20 pubblicate nel 1968 a cura di B. Churgin oppure alle 2 pubblicate nel 1973 da N. Zimpel; se volesse invece studiare quelle scritte nella piena maturità ovvero dopo il 1760, dovrebbe faticare molto ricercando nelle biblioteche europee.

Il secondo motivo, quello “psicologico”, consiste nella nostra pigrizia e nell’originalità stessa dello stile di Sammartini; equidistante tanto dal barocco di J.S.Bach quanto dal classicismo di Mozart, il compositore milanese non gratifica la nostra aspettativa di riconoscere nella sua musica ricordi del primo periodo o anticipazioni del secondo: ci chiede invece di essere ascoltato (e suonato) semplicemente, come musica stilisticamente autonoma. In caso contrario può facilmente capitare di rimanere delusi da sinfonie che si vorrebbero anticipatrici della sinfonia classica di Mozart e Beethoven e che durano raramente più di dodici minuti, da sonate da camera che finiscono apparentemente sospese con minuetti così delicati che una lettura superficiale fa divenire subito inconsistenti, da un quintetto come quello che ascolteremo nell’ultimo concerto, che affianca un primo tempo estremamente organizzato di ben 110 battute ed un semplicissimo andante di solo 23 battute.

Un’autentica riscoperta di Giovanni Battista Sammartini sarà possibile solo se si riusciranno a coniugare una ricerca artistica sulla sua musica da parte degli interpreti ed una ricerca storica da parte dei musicologici che metta a disposizione dei primi il maggior numero di sue composizioni.

E’ con questo auspicio che intendiamo dare il via alla nostra manifestazione.




Cenni sullo Stile

di Luca Arnaldo Maria Colombo


Entrando nel merito della sua opera, illustriamo di seguito ed in estrema sintesi alcuni fra i più moderni ed interessanti aspetti del suo stile.

Sammartini fu il primo compositore a cercare di sviluppare la sinfonia prendendo come punto di partenza il “concerto” e la “sonata a tre strumenti” ( ovvero le forme cameristiche dalla musica barocca ) piuttosto che la “Oeverture d’Opera”; sue d’altra parte sono le prime sinfonie di cui si conosce la data di composizione (esattamente il 1732).

Con le sue sperimentazioni, Sammartini giunse a fissare l’organico strumentale per la sinfonia in quello che rimase poi lo standard del periodo classico.
Per primo utilizzò le viole per movimenti indipendenti dai violini, e il basso per movimenti indipendenti dai violoncelli; inoltre, come avrebbero poi fatto i classici, usò frequentemente spezzare una frase affidandone parte ai violini I e parte ai violini II.

Pur sperimentando sempre nuove soluzioni formali, adottò la struttura della cosiddetta “forma sonata” come base nell’elaborazione del primo movimento di sinfonia e spesso anche del terzo.

Inaugurò l’uso di scegliere come tempo lento di sinfonia un “Andante” in 2/4, uso che si estese per tutto il periodo classico; d’altra parte affidò allo ”andante” un carattere così personale che Rousseau nel suo “Dictionnaire de Musique” definì, “l’andante di Sammartini” come esemplare.

Affidò all’orchestra un ruolo così elaborato ed importante, anche nell’accompagnamento del canto, sia nell’opera che nelle composizioni sacre, da far commentare al famoso critico inglese C.Burney in visita a Milano che “forse sarebbe meglio togliere un po’ di note” ( uguale rimprovero fu fatto poi a Mozart ! ).

Anche fermandosi a questo punto, l’importanza di Sammartini appare evidente.





L’Impressionismo Ritmico
un riferimento stilistico incompreso

di Luca Arnaldo Maria Colombo

Uno dei concetti più significativi per approfondire la conoscenza della musica italiana dei primi decenni del diciottesimo secolo é quello di “impressionismo ritmico”.

Il termine, introdotto dal grande storico della musica F.Torrefranca nel primo dopoguerra, ha avuto un destino assai simile a quello della musica per descrivere il quale era stato coniato: nonostante la notevole ricchezza di significati che intendeva esprimere fu presto sostanzialmente dimenticato (ed oggi é assente, per esempio, dalle enciclopedie tascabili della musica!). Seguendo il ragionamento di colui che lo introdusse, é utile cominciare facendo qualche considerazione sull’impressionismo in generale.

Con questo termine viene generalmente indicato il movimento francese della fine del 1800 rappresentato da Chabrier, Debussy, Ravel, ma si può dire che quello francese é solo un caso impressionismo e che più in generale possiamo utilizzare questa parola quando una composizione si sviluppa attraverso le immagini sonore evocate nel compositore da una breve frammento musicale che svolge il ruolo di una “impressione” sonora. Evidentemente questa definizione può essere applicata ad un gran numero di composizioni dei più diversi autori e rischia di essere anche troppo generica; é però sufficiente per sottolineare che nell’impressionismo viene privilegiato l’aspetto immaginativo rispetto a quello razionale e costruttivo.

Se l’impressione musicale é esercitata da un accordo, ovvero una successione verticale di note, si può parlare di “impressionismo armonico”, mentre quando essa é esercitata da un frammento elementare di ritmo, ovvero una successione orizzontale di note, si potrà parlare di “impressionismo ritmico”.

Accettando questa definizione si giunge a diverse considerazioni interessanti. Innanzitutto ciascun elemento ritmico può essere considerato come un’entità musicale autonoma con un proprio carattere e una propria capacità evocativa diversa da tutti gli altri, cosìcché i vari temi ritmici possono richiedere anche velocità di esecuzione differenti, anche all’interno di una stessa composizione. In secondo luogo la battuta musicale assume un valore particolre: infatti il ritmo ha il sopravvento sulla battuta, che diventa sostanzialmente un contenitore utile per leggere la musica senza quel carattere “metrico” che avrà nella musica successiva (ciò spiega come mai in brani di questa epoca, lo stesso motivo può iniziare sul tempo forte la prima volta che lo si incontra, mentre la seconda volta inizia su un tempo debole). Proseguendo in questo discorso ed affidando al ritmo quel ruolo che generalmente siamo abituati a considerare proprio dell’armonia, si può arrivare a concetti quali il contrappunto ritmico e la modulazione ritmica, che fanno capire quale sia la natura dell’elaborazione perseguita dai compositori dei primi decenni del 1700.

Facendo un paragone con la poesia, é un po’ come se uno poeta scegliesse di scrivere in versi liberi, rinunciando tanto alla regolarità del numero di sillabe del verso quanto a quella data dalla ripetizione delle rime, ed si affidasse completamente al ritmo interno di ciascun verso; questa decisione comporterebbe almeno due conseguenze: per imprimersi nella memoria, ogni verso dove avere un carattere ed una “ritmicità” interna assolute e contemporaneamente lo scrittore non può pretendere di farsi seguire dal lettore per un grande numero di versi. Una cosa analoga succedeva per il compositore: infatti questo stile richiedeva al compositore una inesausta capacità di invenzione di nuovi motivi e idee senza i quali il discorso non poteva proseguire in maniera convincente. L’estrema brevità delle composizioni di Sammartini si spiega quindi non con povertà delle sue idee ma sulla base delle necessità interne del suo stile; anzi, le sue idee posseggono una capacità evocativa sorprendente e non a caso si imprimono nella memoria dell’ascoltatore anche quando non vengono ripetute più di due o tre volte nell’arco dell’intera composizione.

Fu probabilmente proprio a causa dell’uso poco economico di idee musicali che richiedeva al compositore e dell’impossibilità di procedere alla costruzione di composizioni di più grande respiro che il percorso dell’illuminismo ritmico si é interrotto come stile autonomo, ma esso ha lasciato in eredità ad Haydn, Mozart e Beethoven la sua inesausta vitalità.



Cenni sulla musica da camera di Sammartini
come musica notturna

di Luca Arnaldo Maria Colombo


Una delle caratteristiche della musica di Sammartini é la sua cosiddetta “inclassificabilità”. Questa peculiarità del compositore milanese, che era già stata evidenziata nei cocerti precedenti della presente rassegna, emerge in primo piano dal confronto della sua “Sonata a quattro strumenti” con i quartetti per flauto, violino, viola e violoncello di Cimarosa e Mozart.

Innanzitutto l’organico appare insolito in quanto l’organico abbastanza diffuso nella musica barocca di flauto, violino e basso continuo viene qui ampliato non aggiungendo uno strumento nel registro medio ( come fanno Cimarosa e Mozart che inseriscono la viola ), ma, al contrario, inserendo una ulteriore parte di violino nel registro acuto.

Questo organico ci sembra strano soprattutto perché noi posteri sappiamo che nel successivo sviluppo storico esso é stato praticamente abbandonato in favore di altri ensamble, il più “classico” dei quali é naturalmente il quartetto d’archi, ma non dobbiamo dimenticare che nella prima metà del settecento il quartetto d’archi praticamente non esisteva e che vi erano invece numerosisime altre, anche sorprendenti, combinazioni di strumenti.

Ripercorrendo il repertorio di composizioni di musica da camera dello stesso Sammartini troviamo opere scritte per tastiera con accompagnamento di violino, Sonate a Solo per flauto tedesco (o violino), Sonate per violoncello e basso continuo, Sonate per violino e basso continuo, Sonate a due flauti (o due violini), Sonate per due violini e basso continuo, Sonate per due violini e violoncello (come le Sonate Notturne da cui Casella trasse poi la sua trascrizione), Sonate per flauto, violino e basso continuo, Sonate per due flauti e basso continuo, Sonate e Concertini per flauto, due violini e basso o violoncello (come quella del concerto odierno), Concertini per tre violini e basso, Quintetti per tre violini, viola e basso continuo ed infine i Concertini per due violini, viola e violoncello che realmente già anticipano nel 1765 la formazione più nobile della musica da camera classica.

Anche la struttura in due tempi, prediletta da Sammartini nella sua musica da camera, può apparire “incompleta”, ma bisogna ricordare che anche il Beethoven maturo del 1809 scelse per la delicata ispirazione della sua Sonata op. 78 la forma in due tempi: Adagio cantabile e Allegro vivace (tale forma d’altra parte fu da Beethoven adottata sistematicamente nelle sue Sonatine). Infatti la Sonata in due tempi può venire considerata una forma “pienamente classica”, di carattere non monumentale ma piuttosto “notturno”: immaginativo, pacato e sereno come una intima coversazione. In questo contesto non bisogna stupirsi della Sonata a quattro strumenti in re maggiore oggi in programma che sembra quasi non finire, ma piuttosto spegnersi come una nuvola che piano piano scompare nell’oscurità di un sereno tramonto lombardo.




Una breve cronologia per G.B.Sammartini

di Carlo Aliprandi


1700/01 Nasce a Milano G.B.Sammartini da una famiglia di musicisti di origini francesi

1724 Sammartini diviene Maestro di Cappella in S.Maria delle Grazie

1727 Matrimonio con Margherita Benna

1728 Sammartini diviene Maestro di Cappella in S.Ambrogio

1732 La sua prima opera “Memet” viene rappresentata a Lodi e quindi a Vienna

1734 La sua seconda opera “L’ambizione superata dalla Virtù” viene rappresentata al Teatro Ducale di Milano

1737/42 Sammartini accoglie come allievo C.W.Gluck

1738 Vivaldi dirige una sinfonia di Sammartini durante un concerto ad Amsterdam

1749 Gluck dirige una sinfonia di Sammartinidurante un suo concerto a Copenhagen

1755 Sammartini, rimasto vedovo l’anno precedente, si sposa con Rosalinda Acquanio

1758 Insieme ad un gruppo di dilettanti della nobiltà milanese,
Sammartini fonda l’Accademia Filarmonica

1763 Sammartini pubblica a sue spese le Sonate Notturne op VII

1765 Sammartini dirige a Pavia e Cremona l’orchestra durante il passaggio di Leopoldo d’Asburgo

1770 Sammartini incontra il quindicenne Mozart a casa Melzi

1775 Sammartini muore per un’infiammazione polmonare e viene
sepolto a Milano in S.Alessandro in Zebedia







Una breve cronologia del 1700 europeo.

di Carlo Aliprandi

Il Settecento é il secolo che porta al tramonto della monarchia assoluta fondata sul diritto divino, sostituita da una forma di monarchia illuminata dove il potere del sovrano é ispirato ai nuovi ideali filosofici del tempo.

Prussia, Austria, Russia gli Stati italiani perseguono questo cambiamento, consapevoli dell’urgenza riformatrice mentre la Francia, ancorata all’ancien régime, si avvia verso un’inevitabile e disastrosa rivolta popolare. Lo scoppio della Rivoluzione francese rappresenta il momento culminante di un cambiamento sociale che la vecchia classe politica non riesce più a gestire. Lo sviluppo dei commerci internazionali in seguito alle scoperte geografiche e scientifiche aveva infatti accresciuto il potere della borghesia che, diventata la nuova classe sociale detentrice del potere economico inizia ora a rivendicare la propria libertà sul piano politico, invocando l’abolizione dei privilegi aristocratici.

Nelle regioni italiane l’economia di questo periodo resta ancora in gran parte agricola e nella prima metà del settecento il territorio é in gran parte dominato dalle truppe degli Asburgo presenti in Lombardia (1706 - 1796), a Napoli (1707 - 1734), in Sardegna (1708-1720), in Sicilia (1720-1734) e nel Granducato di Toscana (1735). A fronteggiare la frammentarietà di queste province appartenenti all’Impero austriaco interviene la politica accentratrice dell’Imperatrice Maria Teresa D’Austria (proseguita dal figlio Giuseppe II). Il suo regno, caratterizzato da una politica di assolutismo moderato, riduce i poteri dell’aristocrazia e del clero promuovendo grandi riforme ispirate al pensiero illuminista. Quest’ultimo, vero promotore del rinnovamento politico ed ideologico europeo, si manifesta in forme diverse, favorito dallo sviluppo più crescente della stampa e dei trasporti che permettono la circolazione delle idee e dei confronti culturali.

Alla metà del settecento, in seguito alla riconciliazione dell’Austria con la Francia dopo la guerra dei sette anni (1756 - 1763) la cultura francese approda alla corte austriaca, integrandosi con quella italiana già presente. All’omogeneizzazione culturale fa riscontro la nascita di un forte nazionalismo accentuato dallo scoppio della rivoluzione francese e dalla nascita dell’istituzione repubblicana. Quest’ultima, insediatasi dopo la caduta della monarchia per volere del ceto borghese, entra presto in crisi, trasformandosi in un governo più autoritario. La situazione politica basata sull’efficienza militare consente di qui a poco la rapida ascesa al comando dell’esercito del giovane Napoleone.

L’Italia é uno dei primi territori ad essere occupati dalle truppe di Napoleone che sotto la promessa di liberazione del popolo italiano e la fondazione delle Repubblica Cisalpina, compie di fatto spoliazioni sistematiche. Malgrado la sua straordinaria abilità di stratega, il sogno napoleonico di conquistare l’Europa dura pochi anni e, dopo essersi proclamato Imperatore nel 1804, una coalizione antifrancese prepara un duro attacco al suo esercito. La campagna di Russia e la battaglia di Waterloo sono le sconfitte che segnano la fine della sua avventura militare.


Cronologia Europea e suoi Riflessi su Milano

di Carlo Aliprandi

Milano entrò nell’orbita di Vienna nel 1706 e vi restò fino al giugno del 1859, salvo la breve parentesi del triennio franco-sardo 1733-1736 e quella più lunga del periodo rivoluzionario e napoleonico dal 1796 ala 1814.

La guerra di successione spagnola (1700-1714) mise in palio il milanese fra tre contendenti: i franco-spagnoli di Filippo V di Borbone erede del regno di Spagna, gli austriaci, nonché i piemontesi di Vittorio Amedeo II, il quale in piena guerra passò dall’alleanza con i primi all’alleanza con questi ultimi.

La guerra di successione polacca del 1733-1737 sconvolse il milanese a causa dell’alleanza franco-sabauda il cui esercito guidato da Carlo Emanuele III di Savoia irruppe di sorpresa e costrinse il governatore austriaco Ulrico Filippo von Daun a lasciare la città.

L’occupazione franco-sabauda terminò nel 1736 in seguito a trattative tra Luigi XV e Carlo VI che costrinsero re Carlo Emanuele a restituire il milanese all’Austria.

La guerra di successione austriaca (1740-1748) creò problemi nel milanese che nel 1745 fu occupato da forze spagnole le quali vi insediarono Filippo di Borbone, ma pochi mesi dopo, il 18 marzo, gli austriaci rientrarono in possesso della città.

Con la pace di Aquisgrana del 1748 iniziò un periodo di tranquillità con Maria Teresa e Giuseppe II, caratterizzato da una profonda ristrutturazione del dominio tramite l’Istituzione del Censo, l’esecuzione di una bonifica finanziaria e l’unificazione del Debito Pubblico.




G.B.Sammartini, nonno della sinfonia

di Osamu Sakazaki

Oggi tutti sanno che la sinfonia é uno dei generi più importanti dell musica classica; ma chi sa quando é nata la sinfonia?

Nei manuali di storia della musica spesso si trova scritta la locuzione “Haydn, padre della sinfonia”. E’ vero che Haydn é stato un compositore che ha definito molti particolari stilistici della sinfonia classica, però sarebbe un errore di prospettiva storica, o per lo meno un equivoco di interpretazione, dire che Haydn ha “creato” il genere della sinfonia.

L’Austria e la Germania sono stati i luoghi dove si é sviluppato ed é cresciuto lo stile sinfonico, ma é l’Italia il paese in cui la sinfonia é nata. Infatti si può ragionevolmente affermare che la data di nascita della sinfonia coincide approssimativamente con i primi anni del XVIII secolo quando l’Oeverture dell’opera italiana ha cominciato ad emanciparsi dal contesto teatrale ed a venire composta ed eseguita anche come brano indipendente.

Naturalmente bisogna ricordare che la sinfonia manteneva numerose relazioni e contatti con il “concerto grosso”, la “sonata” ed il “concerto-sinfonia” del periodo barocco e che anche in Francia si possono osservare presagi dello stile sinfonico, ma il ceppo centrale delle sue radici é costituito dalla Oeverture dell’opera italiana. Per esempio, spesso la sinfonia del periodo classico inizia con un accordo molto vigoroso esposto dal “tutti “ dell’orchestra; questo é un ricordo del fatto che una delle ragioni d’essere della Oeverture d’opera era quella di fare silenzio fra il pubblico del teatro.

Nelle spiegazioni di storia della musica si é soliti confrontare lo stile barocco e quello classico prendendo come riferimento l’estinzione del “concerto grosso” e l’inizio delle prime “sinfonie”; questo per trovare una linea di demarcazione fra barocco e classicismo: questo modo di procedere é probabilmente un po’ troppo deciso. Infatti il cambiamento si é delineato gradualmente e quindi non si può trovare facilmente una divisione netta fra barocco e classicismo. Quanto più si guarda attentamente, tanto più il confine fra i due periodi diventa ambiguo.

Ad esempio, in Giappone la gente é abituata a pensare che la musica barocca é “Vivaldi” e Vivaldi é “le Quattro Stagioni”, ma nell’opera di Vivaldi ci sono già molti aspetti che anticipano lo stile classico; ed nelle stesse “Quattro Stagioni” io trovo molte tendenze che portano verso il classicismo, pur restando Vivaldi un compositore sostanzialmente barocco.

Dopo tutto i concetti di Stile Barocco, Stile Classico e Stile Romantico sono stati creati dai critici e dai saggisti; inoltre la maggior parte di questi concetti sono stati presi in prestito dalle arti figurative e dalla letteratura, cioé non hanno avuto origine nel campo musicale. Infatti la musica é povera di concretezza ed é molto difficile da spiegare con le parole, per cui spesso si é ricorso, per descriverla, a paragoni con la pittura, la letteratura e l’architettura.

Se però si insiste ad applicare alla musica dei concetti nati per descrivere divisioni stilistiche di altre arti, questa inversione di proprietà dalla pittura alla musica porta a conclusioni distorte e si originano deleterie contraddizioni concettuali: bisogna quindi usaradoperare molta attenzione quando si considerano compositori vissuti in epoche di confine fra diversi contesti stilistici.

Ma torniamo ora all’argomento delle radici della Sinfonia. Uno dei compositori del primo periodo della sinfonia, quando questa forma si era appena emancipata dall’opera, é Giovanni Battista Sammartini. Quando si ascoltano le sue sinfonie, soprattutto quelle del primo periodo, si avverte molto fortemente quella difficoltà di suddivisione stilistica di cui ho scritto prima. Queste sinfonie sono state scritte per orchestra d’archi ed in confronto alle sinfonie di Haydn e Mozart, esse sembrano semplici e per questo é nato l’equivoco per cui la scrittura di Sammartini é meno elaborata di quella dei classici.

Bisogna però ricordare che, in assoluto, Sammartini non ha scritto le sue sinfonie per preparare quelle di Haydn e Mozart ma sono stati questi ultimi a “copiare” le sue. Naturalmente le sinfonie del primo periodo di Sammartini durano, anche considerando tutti i movimenti insieme, circa 10 minuti, cioé sono molto compatte. Facendo riferimento alle dimensioni dunque si può dire che le sinfonie di Sammrtini sono poco sviluppate, ma non si può giudicare la qualità della musica sulla base della sua durata. Infatti un grande organico strumentale o una lunga durata non sono necessariamente sinonimo di una composizione magnifica; le composizioni di Sammartini sono semplici e grazie a ciò si può sentire in esse la raffinatezza e la chiarezza della loro ispirazione. Questo stile non può essere giudicato confrontandolo con quello dei compositori che sono venuti dopo; Sammartini deve essere giudicato autonomamente in base alla sua originalità.

Personalmente vorrei strappare il titolo di “padre della sinfonia” dalle mani di Haydn e dedicarlo a Giovanni Battista Sammartini.





“L’addolorata Divina Madre e Desolatissima nella Soledad”
Cantata sacra a tre di Giovanni Battista Sammartini
(Milano, 1759)

di Marina Vaccarini Gallarani

Per oltre un quarantennio, ad iniziare dagli anni intorno al 1730, la figura di Giambattista Sammartini svolse un ruolo centrale nella vita musicale milanese, sia per l’operosità e i molteplici, importanti incarichi ricoperti dal musicista nelle principali istituzioni cittadine laiche e religiose, sia per la reputazione acquisita già da allora, tra i musicisti suoi contemporanei, di caposcuola, di personalità dominante, di ideatore di uno stile sinfonico destinato a diffondersi ben oltre gli angusti confini del provincialismo metropolitano.

Studi musicologici sempre più approfonditi nel corso degli ultimi decenni hanno evidenziato l’enorme contributo dato da Sammartini al repertorio strumentale milanese sinfonico e cameristico; meno nota e, purtroppo, meno documentata anche per la carenza di fonti disponibili, é l’attività del musicista nell’ambito del genere sacro extraliturgico.

Fin dal 1729, Sammartini é segnalato come maestro di cappella della Regia ed Imperiale Congregazione del Santissimo Entierro di Nostro Signore Gesù Cristo, una prestigiosa istituzione laica fondata nel 1633 da alcuni esponenti delle più illustri famiglie patrizie milanesi e spagnole che fu attiva e operante presso la casa professa dei padri gesuiti di S. Fedele fino alla data di soppressione dell’ordine avvenuta nel 1773. Tra le numerose devozioni prescritte dal regolamento, particolare rilevanza assumevano nel corso dell’anno le celebrazioni per il periodo pasquale; nei cinque Venerdì precedenti la Settimana Santa la congregazione era solita riunirsi nella cripta della chiesa di San Fedele dove, nell’ambito delle consuete meditazioni quaresimali extraliturgiche, veniva eseguito un ciclo di cinque cantate sacre (brevi componimenti poetici indicati talvolta anche come oratori o dialoghi per musica) su temi concernenti la Passione.

Del vasto repertorio prodotto da Sammartini nel corso dei numerosi anni dedicati alla direzione della cappella della Congregazione (dal 1729 al 1773) restano soltanto una cinquantina di libretti e le partiture manoscritte di otto cantate, tutte appartenenti al periodo centrale della produzione del musicista: il ciclo completo per i cinque Venerdì del 1751, due cantate del 1759 e una del 1760.

L’addolorata Divina Madre e Desolatissima nella Soledad venne composta per il quinto Venerdì di Quaresima del 1759. Come nelle cantate coeve, gli interlocutori sono tre e la forma é così articolata: sinfonia d’apertura, recitativo e aria per ciascun ruolo vocale, terzetto finale. Altro elemento di coerenza dedotto dal confronto tra i libretti superstiti é la situazione drammatica che nella quinta cantata di ogni ciclo ripropone sempre il tema del dolore di Maria ai piedi della croce; nel caso specifico la rappresentazione evangelica, qui elaborata poeticamente sul modello della celebre sequenza Stabat Mater attribuita a Jacopone da Todi, é narrata dalle pie donne: Maria Maddalena, Maria Cleofe, Maria Salomè.

Di questa cantata, come delle restanti sette, manca l’autografo: l’edizione critica é stata quindi condotta sulle uniche due copie manoscritte esistenti, del 1875 e del 1880, conservate rispettivamente nella biblioteca dell’abbazia svizzera di Einsiedeln e nella biblioteca di stato di Monaco di Baviera. Entrambe le copie vennero compilate dal Padre Sigismund Keller, benedettino del convento di Einsiedeln e direttore del coro di quella abbazia tra il 1870 e 1880. Secondo gli estensori del catalogo delle opere di Sammartini, Newell Jenkins e Bathia Churgin, molte copie di composizioni del musicista sono conservate nella biblioteca di Einsiedeln perché il principe arcivescovo Marianus Müller, costretto a soggiornare a Milano per un certo periodo di tempo e affascinato dalla musica di Sammartini, ordinò la copiatura di numerose sue composizioni con l’intenzione di portarle a Einsiedeln dove, pare, siano state eseguite diverse volte alla presenza dello stesso arcivescovo. Le uniche fonti disponibili sono quindi un’ulteriore copia del materiale già fatto duplicare in origine da Müller.

L’aria “Ben lo predisse / Quel Veglio un giorno”, assegnata a Maria Cleofe (soprano), é preceduta da un breve recitativo ed é composta nella forma “col da capo” (la prima strofa del testo poetico viene ricantata integralmente dopo la sezione contrastante della seconda strofa). Il testo, qui ripristinato secondo il libretto originario, appare sostituito nelle due fonti manoscritte con i versi latini del “Ecce panis angelorum”, segno evidente di possibili esecuzioni dell’aria come brano separato, fuori dal contesto e segno, quindi, di particolare apprezzamento. Si tratta, in effetti, di un’aria di ampia cantabilità alla cui grandiosità contribuisce la lunga introduzione orchestrale ( trascritta al pianoforte nel concerto odierno ) giocata sull’esteso dialogo tra le due parti superiori (oboi) e il violoncello concertante; l’entrata del canto rende ancora più interessante l’intrecciarsi delle voci sui toni patetici di figurazioni ritmiche ricche di fantasiosa inventiva.